Maggio 7, 2024

Backup foto: quali sistemi scegliere per non rischiare di perdere tutto?

Backup foto: quali sistemi scegliere per non rischiare di perdere tutto?

Backup foto: quali sistemi scegliere per non rischiare di perdere tutto?

La fotografia digitale ha aumentato in modo esponenziale il numero di foto (e fotografi) esistenti, grazie ad un abbassamento dei prezzi e ad un’esplosione dell’offerta.
Smartphone, mirrorless, reflex, action camera: ogni mese nascono nuovi supporti per un trend che non sembra avere fine.

Sembrano così lontani i tempi in cui in casa si conservavano rullini e stampe dentro scatoloni e pesanti album. A ben vedere, fino all’avvento della fotografia digitale di massa, la quantità media di fotografie che una persona conservava nella sua vita era pari a quella che, al giorno d’oggi, scatta o riceve in meno di un mese. Ecco quindi che il problema dell’archiviazione di queste foto, e del loro salvataggio in un posto sicuro, diventa di cruciale importanza.

Chi meglio dei fotografi professionisti può capire questa esigenza? Tra file raw del peso di centinaia di megabyte e psd da svariati gigabyte, il margine di errore nel backup delle foto deve essere praticamente inesistente. Soprattutto se le foto non sono più replicabili, perché legate a momenti particolari come quelle di matrimonio o di servizi come DaddyCool.

Ogni fotografo ha la sua personale strategia di salvataggio. Abbiamo provato ad analizzarne alcune e a trovare i più efficaci tratti in comune.


Backup fotografico su due step

“Se una cosa può andar male, lo farà”. Anche nel caso del backup della propria produzione fotografica, la legge di Murphy è azzeccatissima e non bisogna mai sottovalutare la possibilità di un errore, un guasto o un evento atmosferico/fortuito, che metta a repentaglio i dati. Chi pensa che gli hard disk meccanici siano eterni, potrebbe avere amare sorprese. Lo stesso dicasi per i fan delle penne usb o dei dischi a stato solido (detti comunemente “ssd”), che a causa del loro limitato numero di possibili scritture sono delle vere e proprie bombe ad orologeria per i dati in essi contenuti. E non dimentichiamo cd-rom, dvd e blu-ray, che dopo una decina d’anni mostrano impietosamente i segni del tempo.

C’è anche chi affida tutte le sue memorie fotografiche ai servizi in cloud, come i famosi Google Drive o Dropbox, che dovrebbero garantire maggiore sicurezza. Ma cosa accade se la password viene trafugata durante un data breach e il contenuto svuotato? O se il servizio chiude o riduce gli spazi disponibili e non ce ne accorgiamo in tempo?

Per questo, per dormire sonni tranquilli, è essenziale avere un doppio livello di backup, fondamentale nel caso in cui quello principale si guastasse o venissero cancellati accidentalmente degli scatti. È il principio della ridondanza e per applicarlo al meglio va considerato anche il luogo fisico di stoccaggio. Per la massima sicurezza, è inutile infatti avere 5 copie dei file tutte nella stessa stanza: in caso di furto, incendio o latre episodi spiacevoli (ad esempio, un forte sbalzo di corrente), tutti i sistemi verranno irrimediabilmente compromessi.

 Come dice il famoso fotografo statunitense Jim Jordan: “Non devi chiederti se il disco di salvataggio si può rompere, devi chiederti quando succederà”.

Nas raid o Unità raid semplice?

Veniamo quindi al consiglio di quale sistema scegliere per una configurazione a prova di tsunami. Come abbiamo scritto sopra, il doppio step di protezione garantisce di minimizzare la possibilità di perdita dei dati, pertanto andremo ad implementare un primo livello locale e un secondo livello in remoto.

Nel dettaglio, il primo step potrà essere una semplice unità raid, settata in mirroring, affinché i dischi al suo interno siano copie perfette l’uno dell’altro. Questo permetterà, in caso di errore o guasto di uno dei due, di poter accedere all’altro e mettere in salvo il lavoro. L’unità raid locale può anche essere Nas, cioè collegata alla rete, ma è una scelta personale, che non crea particolari benefici.

Diverso invece è il sistema di backup da remoto, che sarà preferibilmente basato su Nas Raid, per permettere l’accesso e la sincronizzazione via internet.
Per questo secondo step, si possono anche scegliere soluzioni cloud, se la quantità di dati non supera un certo numero di Gb. Altrimenti, il costo annuale da corrispondere ai vari Google & Co. diventa troppo dispendioso rispetto a un sistema dedicato.